di Premartha Giuseppe Crispo
Da un po’ sei seduto sulla panchina, e osservi la piazza che sa di silenzio antico, di case decorate e tetti rossi. Da una collina verdissima, che abbraccia lo spazio, ti arriva l’annuncio della notte sotto forma di brividi sulla pelle. Nel mezzo, balle di paglia buttate alla rinfusa con studiato disordine. Qualcuno le raccoglie e le ordina in semicerchio, via via che le balle si accostano prende forma una piccola arena e lì davanti tre balle isolate aspettano i protagonisti.
E’ un “teatro di paglia”. Lo accosti subito agli spazi davanti all’aia delle fattorie, dove i contadini si riunivano per raccontarsi, divertirsi, dare libero sfogo alle emozioni e ritemprarsi dalle fatiche dei campi. In quello spazio si raccontavano, cantavano e ballavano senza freni.
Ora lo spazio davanti a te prende vita, le gradinate dorate si vanno lentamente riempiendo, qualcuno cerca, senza successo, di accendere dei lumi nei bicchieri scenografici, c’è troppa “aria” e i bicchieri troppo bassi, alla fine cede e si rassegna.
Poi qualcosa ti attira verso l’arena, ti fermi davanti alle balle isolate e pensi se mai te la sentiresti di sederti su una di quelle e raccontare una qualsiasi cosa di te, senti che, osservando gli spettatori in attesa coi loro sguardi indagatori e curiosi, un sottile disagio ti stringe lo stomaco.
Lo spettacolo comincia, qualcuno spiega come funziona e subito il disagio cala, stasera tutti sono spettatori e attori al tempo stesso, nessuno è al sicuro, il coinvolgimento è d’obbligo. Questa cosa t’intriga e ti contamina, mano a mano che gli “attori” si avvicendano, ti accorgi che non c’è aspettativa, critica o giudizio, il cerchio si chiude proprio sulle tre balle isolate creando un magico cerchio e riconosci lo spazio di condivisione.
Mettersi in gioco, raccontarsi, cantare, recitare, pochi minuti, per lasciare spazio a tutti, le performance si susseguono, i bambini più degli adulti si lanciano intrepidi in questo agorà del popolo, genuino, diretto, autentico. Qui non si finge, e per tutti ci sono ovazioni e applausi, che partono dal cuore, dal sentimento antico e quasi perso della comunità, della condivisione, dello stare insieme per dare un senso all’esperienza di vita, immedesimarsi a specchio nell’altro per scorgere altre parti di te che avevi dimenticato, che ti contagiano al punto da farti buttare via la maschera e mostrare agli altri cosa sei veramente, perché ognuno degli altri possa ricordare cos’è attraverso di te.
Senti che è arrivato il tuo momento, una forza ti chiama lì al centro e ti accorgi che sei magicamente connesso a chi ti ha preceduto e ti ha aperto la strada. Pochi minuti, gesti mimati, maschere colorate che cadono una alla volta, cade il conflitto, dietro l’incalzare di aforismi violenti e giudizi lapidari, quando ci si guarda negli occhi, tutto è risolto, sciolta ogni contrapposizione, e gli applausi che improvvisamente ti scuotono, sono la prova che il tuo messaggio di armonia e amore è “arrivato”.
Sono trascorse tre ore e non te ne sei accorto, qui il tempo magicamente si annulla, in un potente e naturale qui e ora, hai osservato, ascoltato e partecipato a questa sorta di meditazione dinamica collettiva ed ora vorresti rimanere ma il cerchio si scioglie, a mezzanotte ritireranno le balle di paglia che andranno a ricomporsi chissà dove e chissà quando.
Reggello (Firenze), 16 luglio 2016 – scheda del teatro QUI